LE OMBRE DELLA LUNA (2001)

Stava sdraiato sul letto, con addosso solo il sotto del pigiama.
La mano sinistra artigliata al lenzuolo, la destra attorno al cellulare come un boa costrictor.
La televisione accesa senza sonoro, una trasmissione di teleaste interminabile acquerellava la stanza con le immagini di inutili e fantasiosi elettrodomestici.
Lo schermo vicino al letto, sul comò, lo guardava in silenzio.
Una vecchia scacchiera era abbandonata sul tavolino, briciole di gusci di noccioline erano sparse sul pavimento. Al muro, una serie di stampe astratte, l'orologio a cucù fermo da due anni, il calendario del mese prima. Sul lato opposto, vicino alla finestra, un bersaglio giallo e nero per le freccette sembrava cercare invano di nascondere un centinaio di buchi nell'intonaco.
Non parlava, non respirava quasi. Gli occhi fissi sul piccolo schermo a cristalli liquidi, le orecchie tese all'ascolto del flebile bip che sarebbe dovuto risuonare già da un bel pezzo, annunciando l'sms di risposta di lei. Lunghi minuti in cui l'alzarsi e l'abbassarsi del petto ritmava il tempo, sempre uguale, sempre sottile come un ago. A volte il ritmo decelerava, ogni tanto un lungo sospiro d'angoscia interrompeva quel ritmare pacato.
Un altro minuto.
A volte lo sguardo scorreva le pareti della stanza, come un idrante ne lavava i ricordi. Ad uno ad uno, tutti i ricordi della loro vita passata insieme cadevano come foglie morte, lì sul tappeto ai piedi del letto. Il libro che gli aveva regalato lei, quello con la copertina rossa, era un po' fuori posto, come se qualcuno lo avesse estratto e poi rimesso a posto senza la dovuta cura, senza l'amore che lo aveva donato. Strinse ancora di più il lenzuolo ed alzò lo sguardo al ventilatore orbitale sullo zenit dei suoi occhi. Continuò l’esplorazione, e la sua attenzione si spostò sul marmo del comò. Gli sembrava quasi di sentirne il freddo contatto sulle pupille. Il marmo grigio come gli occhi di lei.
Lei.
Gli risuonava nelle orecchie la sua risata, la sua voce. Sentiva il profumo dei suoi capelli, ne vedeva l'ombra proiettata sui muri. Un'ombra perfetta, senza sdoppiature, netta come tagliata con un rasoio. Come le ombre della luna. Già, come le ombre della luna. Le ombre lassù non hanno incertezze, sono pulite. C solo il bianco accecante del sole o il nero opaco della notte. Quanto sarebbe più facile se anche quaggiù le cose fossero così certe, senza se e ma, senza sfumature di grigio. Senza compromessi.
Un altro minuto.
Con un'espressione a metà fra un sorriso e una smorfia la immaginava al di là delle onde, intenta a leggere il suo messaggio, a commentarlo mentalmente, a sorridere, meditare e a camminare per la stanza come solo lei sapeva fare,con quel passo leggero, quasi da indiana. E poi la vedeva sedersi sul letto, scostarsi i lunghi capelli castani su un lato, e col sorriso sulle labbra iniziare a scrivere la propria risposta...
-cancella?
-creare?
-partire da:
-predefinito?
-nuovo?
Le dita affusolate scorrere sulla tastierina di quel fortunato apparecchio, ancora un sorriso, i capelli che scendono sul viso, ancora scostati e posti con delicatezza dietro le orecchie. E poi ancora un sorriso.
Inviare?
Luca?
Una piccola pressione e vai... Lo sguardo cadde di nuovo sul piccolo schermo a cristalli liquidi. Lui, beffardo pareva non volerne sapere di segnalare nulla. Era come rapito dal silenzio. A quel punto il bip di ricezione avrebbe dovuto risuonare come la sirena dei vigili del fuoco, ma sembrava che tutto si fosse fermato. Anche il respiro, già lento, dava l’impressione, netta, di rallentare. Tutta la stanza era entrata in una strana dimensione, in cui il tempo aveva assunto una strana forma, quasi ad elastico.
Un altro minuto.
Rilasciò il lenzuolo. La mano sinistra, liberata dalla sua stessa forza di compressione sul lenzuolo sembrava respirare di nuovo; l’aria che prima era umida e soffocante scorreva sul palmo umido della mano con una brezza leggera. Lo sguardo ancora sullo schermo, la luce spenta dell'apparecchio. La mano destra che stringe di più, come a farne sputare la risposta.
’’E se non avessi sentito?? ’’
...Si avvicino’ il cellulare agli occhi, schiacciò a caso un tasto, solo per illuminarlo. Nel breve attimo di vita di quella lucciola muta e ostinata, potè constatare che la batteria era a metà, che era il 13/10 e che l’ora era... Scrollò la testa, incredulo. Era passato già un bel po' di tempo. Già. La mano con la sua preda ben stretta fra le dita scivolò lungo il fianco, sfiorò l’anca e ricadde stancamente lungo la gamba. L'orizzonte che vedeva oltre il suo petto, strano mare pallido dal moto continuo era piatto, fermo. Gli sembrava un brutto poster da grandi magazzini, eterno come il passare del tempo... Sorrise amaramente a questo pensiero paradossale, mentre con la mente scandagliava altre possibilità, altre spiegazioni, altre inspiegabili circostanze che potevano avere indotto quel silenzio. A volte, per spedire un messaggio, capita che il cellulare non prenda la linea. Forse lei voleva scrivergli qualcosa di preciso. E stava cercando i termini adatti. Doveva essere così. La mano sinistra, disoccupata, andò di nuovo a cercare il lenzuolo, mentre gli occhi si concentravano sugli strani disegni che la luce dei lampioni della strada tracciava sul soffitto attraverso le stecche delle persiane. Ogni tanto, un'auto passava tagliando a fette la notte con i suoi fari e le strisce di luce si spostavano di qualche centimetro per poi ritornare docilmente al loro posto. ’’Tutto torna sempre al suo posto...’’ Con la mente si avventurò in un tortuoso ritorno ai tempi della scuola... La mente viaggia più veloce del tempo... Millenni prima? Un sorriso gli si disegnò fra le labbra. Tredici anni, una classe numerosa, tanti ragazzi e tante ragazze. Chissà chi lo aveva pensato, ma ogni settimana i ragazzi che occupavano il lato destro dei banchi biposto, dovevano scalare di un banco indietro. Tutti, nessuno escluso. Anche Vanessa. Già, quella ragazza arrivata proprio all'ultimo, quando la classe aveva già una sua fisionomia, una forma, un aspetto esteriore decisamente delineato era stata come un incendio doloso. Più di un ragazzino di quella classe, la portava nel cuore.
Più di uno la sognava anche di giorno.
Uno solo non le aveva mai rivolto la parola se non per lo stretto necessario.
Lui.
Ma sarebbe passata anche lei dal suo banco. Anche lei avrebbe diviso con lui, per una intera settimana, le ansie, le palpitazioni, le piccole gioie della vita scolastica. E sarebbero stati vicini per quattro mattine e due pomeriggi. Avrebbero diviso i libri. Avrebbe finalmente avuto l'opportunità di parlarle senza doversi inventare chissà che scusa per avvicinarla. Sarebbe stata lei a sedersi al suo banco, a salutarlo per prima, a sentirsi un po' come un'ospite, un po' a disagio.
’’Dannazione’’!!! A volte il fato non guarda in faccia nessuno, ma quella volta si era fermato a guardarlo bene negli occhi, credette di vederlo mentre come un sergente d'ispezione gli girava intorno, a scrutarlo, prima di rifermarsi con lo sguardo teso proprio di fronte alla sua faccia. E poi quel sorriso beffardo, quella risata che con la febbre a quaranta gli sembrava ancora piu’ tragica. Una settimana a letto con l’influenza.
Quella settimana.
Poteva solo immaginarsi Vanessa sola nel suo banco per quattro mattine e due pomeriggi, mentre lui con la febbre stava sdraiato sul letto a maledire il destino. Si corresse.’’Non tutto torna a posto...’’. ’’Ehi, piccola,che scherzi fai?’’ Riguardo’ lo schermo del cellulare, erano passati solo quattro minuti. Un'auto passò nella strada di sotto. I suoi abbaglianti, probabilmente mal regolati, illuminarono perfino il ventilatore, che dietro a quella buffa combinazione di strisce di luce, proiettò una sinistra ombra a forma di croce. Chiuse gli occhi, perchè’ non voleva vedere più quello schermetto grigio sempre uguale, con lo scorrere dei minuti che cadevano sul lenzuolo come lacrime di pioggia, con il pensiero rivolto a lei, a quel paio d'occhi freddi e calorosi, a quello sguardo distante e intimamente vicino, a quella bocca sensuale che sussurrava il suo nome e urlava nello stesso tempo il proprio silenzio.
Un silenzio siderale avvolse la stanza come un drappo scuro di velluto pesante. Nonostante fosse ottobre, la temperatura era straordinariamente alta, ma sentiva i brividi corrergli lungo le gambe, veloci e pazze automobiline lanciate su qualche pista giocattolo. Il cellulare rimaneva muto. Raccolse il cuscino che era caduto a terra... Se lo sistemò sotto la testa con entrambe le mani, senza mollare neppure per un istante quell'apparecchio maledetto, che si ostinava, moderna parodia di un'antica lanterna, ad emettere ogni due o tre secondi, un rapido lampo verdognolo. Le mani ricaddero mollemente lungo i fianchi, inutili soldati posti a difendere quel lungo corpo da chissà quali attacchi. Mosse i piedi, incuriosito, per vedere se fossero ancora lì e riguardò l'orologio. Un altro minuto... Alzò gli occhi al cielo, come ad invocare una morte rapida ed indolore, poi vide lo schermo della tivù tremolare, simile ad un miraggio nel deserto. Il cellulare suonò, lo schermo si accese di una luce gialla perfino fastidiosa, la mano-artiglio si levò minacciosa al di sopra della sua testa inchiodata al cuscino. Gli occhi scorsero il messaggio, dita febbrili lo fecero scorrere una, due, tre volte. Ancora. Una sensazione di stupore lo pervase, poi la mano sinistra si abbattè sul lenzuolo, come morta. Lei non aveva l'esclusiva del suo numero. Certe volte le cose più semplici ed elementari sfuggono al controllo più accurato, alla logica del logico. Qualcun altro aveva pensato a lui e non era lei. Al mondo succede di tutto, anche che un vecchio compagno di scuola dopo anni che non lo senti ti chiami improvvisamente di sabato sera, così senza preavviso: Enrico lo invitava a vedere la partita a casa sua... Ma come gli era saltato in mente di usare un sms? Sgomento, abbassò anche la mano destra. Lo schermo grigio era tornato muto. Il non aver calcolato che qualcun altro avrebbe potuto anche usare il comodo mezzo dell'sms per comunicare con lui lo precipitò in un abisso oscuro. Arrivò a battersi il telefono sulla fronte come se quel gesto, più tribale che giustificato dalla inquietudine, avesse potuto accelerare il compiersi dell'Evento. Il tempo scorreva lentissimo, a volte si fermava come a riprendere fiato, poi riprendeva a scorrere come se nulla fosse accaduto. Poi, a spallate, sempre piu’ violente, si fece strada con una sensazione di cupo malore, la possibilità che lei in quel momento potesse essere in comunicazione con qualcun altro.
"
Ma certo, se sta telefonando, e’ possibile che non riesca a ricevere i messaggi...". Poteva anche non aver ricevuto nessun sms, nemmeno il suo, oppure averlo ricevuto e volutamente ignorato. Poteva vederla, bellissima come sempre, magari in camicia da notte, camminare soavemente per la stanza con l'auricolare nascosto fra i capelli e parlare apparentemente da sola come una splendida pazza oppure come un'attrice che sta provando. Oppure con il telefono spento, chiuso nella borsetta. O abbandonato chissà dove...In compagnia di chi? Cominciò a scorrere una grottesca galleria di personaggi, tutti in qualche modo legati a lei per qualche ragione, per lavoro o per amicizia, ma anche di macchiette più improbabili, come il portiere, il lavascale, l'idraulico. Tutti sembravano fuori posto. Ma in fondo alla fila vide sè stesso, come si vedeva allo specchio, come si vedeva nelle fotografie o peggio, nei filmatini amatoriali a qualche festa di compleanno. E provò disagio. Un brivido freddo percorse tutta la schiena, dal collo al bacino. Pensò di essere sul punto di avere una crisi isterica. Ma non avvenne. O meglio, resistette come potè, fino al secondo squillo del cellulare. Era talmente agitato che il telefono gli sfuggì dalle mani, mosso da vita propria. Lo catturò al volo, con l'abilita’ di un giocoliere ubriaco e lo immobilizzò sul petto. Gli ricordò una strana scialuppa sulla cresta del mare in tempesta. Aveva il fiato accelerato, il petto si alzava ed abbassava con ritmo crescente. Ma il messaggio era stato catturato, ora poteva analizzarlo con calma, e per Dio, nulla lo avrebbe distolto dal farlo. Si tirò sù, voleva sedersi, voleva reagire. Posò i piedi nudi sul pavimento di cotto. Dalla finestra filtrava la luce dei lampioni e quella del palazzo vicino, c'erano decine di finestre illuminate. Sembrava di vedere il Titanic dritto in verticale sulla superficie del mare sprofondare nell'oceano. Si concentrò, trasse un lungo sospiro, schiacciò un tasto a caso del cellulare e lo schermo si illuminò ancora di quella luce gialla. L'icona di una busta, al centro del display non lasciava adito a dubbi, così lo lesse.
’’Il cavallo in A-4. Scacco matto. Ciao, ne giochiamo un'altra?’’

 

FINE

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